lunes, 17 de enero de 2011

Montale

Quaderno di quattro anni.
Eugenio Montale


Quaderno di quattro anni, il sesto libro poetico, fu pubblicato nel 1977 dalla Casa editrice Mondadori e contiene 111 poesie.
Come già in Diario del ’71 e del ’72 il libro non è diviso in sezioni e le poesie si susseguono l’una dopo l’altra senza un tema predeterminato e ogni poesia svolge un tema suo senza antecedente né conseguenti nella forma libera già conosciuta nel libro precedente.

La prima poesia è L’EDUCAZIONE INTELLETTUALE.

Questa è un poesia importante e ad anche bella. Montale ripercorre la sua esperienza poetica e cultuale, partendo dall’opera di Paul Valery “Il cimitero marino” , per arrivare poi ai razionalisti e agli irrazionalisti che sono simboleggiati da Nietzsche, affermando il suo pessimismo esistenziale ed antropologico e conclude con questi versi sconsolanti:

<tutto era poi mutato. Il mare stesso/
s’era fatto peggiore.
Ne vedo ora crudeli assalti al molo, non s’infiocca /
più di vele, non è il tetto di nulla,/
neppure di se stesso.>>.


Dopo molte poesie di vari temi e di giudizi suoi su molta aspetti della sua vita e sulla natura e su vari personaggi si arriva al primo capolavoro VIVERE.
Ecco il testo.


VIVERE
Vivere? lo facciano per noi i nostri domestici.
Villiers De L’Isle-Adam.
E’ il tema che mi fu dato
quando mi presentai all’esame
per l’ammissione alla vita.
Folla di prenativi i candidati
Molti per loro fortuna i rimandati.
Scrissi su un foglio d’aria senza penna
e pennino, il pensiero non c’era ancora.
Mi fossi ricordato che Epitteto in catene
Era la libertà assoluta l’avrei detto,
se avessi immaginato che la rinunzia
era il fatto più nobile dell’uomo
l’avrei scritto ma il foglio restò bianco.
Il ricordo obiettai, non anticipa, segue.
Si udì dopo un silenzio un parlottio tra i giudici,
poi uno di essi mi consegnò l’accessit
e disse non ti invidio.


II
Una risposta

Da terza elementare. Me ne vergogno.
Vivere non era per Villiers la vita
né l’oltrevita ma la sfera occulta
di un genio che non chiede la fanfara.
Non era in lui disprezzo per il sottobosco.
Lo ignorava, ignorava quasi tutto
e anche se stesso. Respirava l’aria ù
dell’Eccelso come io quella pestifera
di qui.


Questa poesia esprime tante sensazioni ed emozioni davvero profonde e personale.
Presenta anche una ricchezza di idee esistenziali davvero profonde ed originale.
Il poeta parte con un fescbek e incomincia a raccontare la sua vita dal momento della sua nascita in un mondo prenatale. Non consoce la filosofia però parla di Epitteto, il quale affermava che anche uno schiavo poteva essere libero interiormente, poi parla da vecchio saggio poiché dice che la rinunzia alla vita era un fatto nobile lo avrebbe detto, invece disse appena che il ricordo della vita segue non anticipa. Poi parla dei giudici che lo promuovono ugualmente e uno gli consegna l’accessit. Poi riprende l’epigrafe e fa parlare Villiers secondo il quale la vita non è la vita epifania né l’oltre vita ma una sfera occulta di un genio. Lui non conosce gli altri e ignora anche se stesso. Infine il poeta che era scomparso rientra e dice la sua:<>.

La conclusione è il messaggio della poesia: la sola vita degna di essere vissuta è quello dell’Eccelso, l’altra vita quella giornaliera e banale degli uomini comuni non è degna di essere vissuta. Ed ecco l’importanza dell’epigrafe Vivere? Lo facciano per noi i nostri domestici, come dire la vita, con la V maiuscola, è sola quella dell’Eccelso, l’altra quella umana la vivano per noi i nostri domestici, qui identificati, come gli uomini schiavi della vita, come esseri inferiori, ma non viventi. Montale espone il suo punto di vista sulla vita ed esprime anche il suo disprezzo per una vita banale ed inferiore. La bellezza della poesia sta nella varietà dei contenuti e nella bellezza dell’espressioni. Sembra una prosa ma invece è una poesia perché il ritmo e l’originalità delle espressioni sono talmente nuove e personale che stravolgono il lettore facendolo spazziare da tono surrealistico a un tono tragico a un tono ironico e sarcastico. Anch’io condivido questa tesi: la sola vita degna di essere vissuta è quella dell’Eccelso, l’altra vita quella epifania, maledetta, priva di felicità non vale la pena di viverla e anch’io se avessi i miei domestici farei vivere la mia vita a loro!!!.


Segue a poco distanza un altro capolavoro poetico: SUL LAGO D’ORTA.
Dopo aver descritto alcune immagini di una villa abbandonata Montale prova una strana angoscia e vede che su un terreno sabbioso vi sono dei Salici che piangono davvero e dove tutto è silenzio. E poi si chiede:

<fosse più che un’ubbia /
sarebbe strano trovarlo dove neppure un’anguilla tenta di sopravvivere>>


e termina con un battuta finale, consueta in molte poesie montaliana,

<una famiglia inglese. Purtroppo manca il custode/
ma forse quegli angeli (angli) non erano così pazzi /
da essere custoditi>>.

Il messaggio della poesia è evidente: la vita è sorta in un luogo dove non poteva nascere, dove nemmeno, un’anguilla tenta di sopravvivere e dove i Salici piangono davvero. Non c’è bisogno di nessun bandolo tutto rimarrà oscuro ede incomprensibile agli uomini.

Segue un’altra poesia molto bella IN NEGATIVO.

E il testo.
È strano.
Sono stati sparati colpi a raffica
Su di noi e il ventaglio non mi ha colpito.
Tuttavia avrò presto il benservito
fosse in carta da bollo da presentare
chissà a quale burocrate; ed è probabile
che non occorra altro.
Il peggio è già passato.
Ora sono superflui i documenti, ora
é superfluo anche il meglio. Non c’è stato
Nulla, assolutamente nulla dietro di noi,
e nulla abbiamo disperatamente amato più di quel nulla.


Montale mostra in questa poesia tutto il suo pessimismo, il quale si avvicina molto al pessimismo leopardiano,quando anche lui parla del solido nulla.

È la vittoria del nichilismo: tutti gli uomini sanno che siamo nulla e che non risarà che il nulla, ma ecco il tocco del genio poetico, Montale dice tutti compreso lui ama quel nulla così disperatamente. Alla fine risulta che la vita è tanto amata e tanto odiata, perché amiamo una cosa che è nulla che diventerà nulla, qualcosa che non esiste, ma per un breve attimo amiamo e ciò non si può negare. La vita è dunque un conquistarsi un biglietto da presentare a un burocrate per rilasciarci il salvacondotto per una altra vita di cui non si conosce niente.

Dopo poche altre poesie si arriva ad un altro capolavoro poetico

AI TUOI PIEDI.
Ecco il testo della poesia.

Ai tuoi piedi.

Mi sono inginocchiato ai tuoi piedi
O forse è un’illusione perché non si vede
nulla di te
ed ho chiesto perdono per i miei peccati
attendendo il verdetto con scarsa fiducia
e debole speranza non sapendo
che senso hanno quassù il prima e il poi
Il presente il passato l’avvenire
e il fatto che io sia venuto al mondo
senza essere consultato.
Poi penserò alla vita di quaggiù
non sub specie aeternitatis,
non risalendo all’infanzia
e agli ingloriosi fatti che l’hanno illustrata
per poi accedere a un dopo
di cui sarò all’anteporta.
Attendendo il verdetto
Che sarà lungo o breve grato o ingrato
Ma sempre temporale e qui comincia
L’imbroglio perché nulla di buono è mai pensabile
Nel tempo,
ricorderò gli oggetti che ho lasciati
al loro posto, un posto tanto studiato,
agli uccelli impagliati, a qualche ritaglio
di giornale, alle tre o quattro medaglie
di cui sarò derubato e forse anche
alle fotografie di qualche mia musa

che mai seppe di esserlo,
rifarò il censimento di quel nulla
che fu vivente perché fu tangibile
e mi dirò se non fossero
queste solo e non altro la mia consistenza
e non questo corpo ormai incorporeo
che sta in attesa e quasi si addormenta.

Questa stupenda poesia su Dio è tutta costruita su un equilibrio di sfumature ironiche e sarcastiche su attese metafisiche e ritorni sulla terra. Con un tono emotivo vario: si passa dalla delusione all’illusione dalla scarsa fiducia in Dio all’attesa di un verdetto che non avrà molto importanza dato che sarà soggetto alle leggi del tempo e queste sono sempre imperfette, si passa dal chiedersi del senso dell’aldilà al senso di una vita trascorsa senza essere consultato prima di venire al mondo (e su questo punto si riallaccia a Vivere). E nell’attesa di questo verdetto il poeta ripensa alla sua vita di quaggiù che gli sembra poca cosa e si chiede se tutto la sua consistenza sia consistita nel suo corpo ormai diventato incorporeo e quasi si addormenta. Il finale solito, tra ironia e sarcasmo, esprime tutta la delusione di un mondo Divino da cui provengono verdetti grati o ingrati ed esprime anche la delusione della condizione umana fatta essenzialmente e precariamente di un corpo che diventa evanescente e anche debole e allora si addormenta come fanno i bambini quando sono stanchi e si addormentano facilmente sulle braccia della madre.

Come già Montale aveva mischiato DEI e DIO come mitologia religiosa, ora Montale mischia salvezza eterna e sprofondamento nel nulla, come afferma nella poesia

Le PROVE GENERALI, quando scrive:

<vederne alcuno di prima di sparire/
nel più profondo nulla.>>

o come aveva scritto IN negativo:

<e nulla abbiamo disperatamente amato più di quel nulla>>.

Anche ora non si capisce se Montale tiene di più per l’ipotesi della salvezza eterna per mano di Dio o se auspica il profondo nulla. La verità è che Montale non lo sa neppure lui, ma elenchi tutte le possibilità della gente comune: la via religiosa, la via atea, la via agnostica, la via scettica, la via meccanicistica, la via spirituale senza preferirne una.

Dopo altre poesia si arriva a una breve poesia

“Nel disumano” dedicata alla moglie in cui è evidente tutta l’incredulità e la limitatezza umana di fronte alla morte. Ecco i versi finali:

<che chi si muove in fretta trova il posto migliore./
Ma quale posto e dove? Si continua
A pensare con teste umane quando si entra /
nel disumano.>>

E qui per disumano potrebbe intendersi un posto infernale o l’ade degli antichi greci.

Poco poesie dopo si legge “Quel che resta (se resta)” nella quale Montale riafferma la sua legge etica ed antropologica (già scritta nel famoso articolo Soliloquio): <>.

Dopo altre poesie si legge

“L’immane farsa umana /
(non mancheranno ragioni per occuparsi /
del suo risvolto tragico) non è affar mio>>.

Subito dopo arriva Fine si Settembre in cui si scaglia contro i vacanzieri e la vita quotidiana che lui considera banale o quasi la disprezza in non e di un passato che non c’è più e se la prende contro il passare inesorabile del tempo il quale scorre con un’orrenda indifferenza a volte un po’ beffarda come ora il canto /
del rigogolo il solo dei piumati /
che farsi ascoltare in giorni come questi>>.


Questa poesia è il controcanto della Ginestra leopardiana.

Qui al posto della ginestra c’è il rigogolo che canta beffardamente il lento trascorrere del tempo su una umanità destinata alla distruzione totale. Di fronte alla siccità universale l’uomo non può fare nulla e tutti i sogni svaniscono.

Dopo poche poesie si legge
“Al mare (o quasi). In questa poesia Montale si scaglia contro il malessere e l’inquinamento del tempo e identifica il male di quel periodo nella precarietà dei valori della società italiana. Infatti proprio in questi anni l’Italia stava vivendo gli anni di piombo e tutto era in crisi ( di fatti si stava passando dalla società moderna alla società postmoderna) e tutto questo gli sembrava lontano ormai dalla sua visione di vita semplice e pulita, lenta sicura. Si andava infatti in una società in cui tutto è veloce, precario flessibile spezzettato.

E Montale conclude:
<ottimamente ma il meglio sarebbe troppo simile /
alla morte ( e questa piace solo ai giovani).

Non staremo ottimamente forse staremo meglio vicino alla morte perché questa piace ai giovani perché non la temono in quanto la vedono lontano, mentre i vecchi la temono perché la vedono vicina.
Dopo alcune poesia si arriva a “Dormiveglia” nella quale Montale ancora una volta esprime tutto il disprezzo per questa vita sulla terra. Ecco il testo.

DORMIVEGLIA.

Il sonno tarda a venire
Poi mi raggiungerà senza preavviso.
Fuori deve accadere qualche cosa
per dimostrarmi che il mondo esiste e che
i sedicenti vivi non sono ancora tutti morti.
Gli acculturati i poeti i pazzi
le macchine gli affari le opinioni
quale nauseabonda olla podrida!
E io lì dentro incrostato fino ai capelli!
Stavolta la pietà vince sul riso.


E nella penultima poesia Montale esprime ancora una volta la sua incapacità di capire la vita. Ecco i versi finali:<

se mi rileggo penso che solo l’inidentità /
regge il mondo, lo crea e lo distrugge/
per poi rifarlo sempre più spettrale/
e in conoscibile. Resta lo spiraglio /
del quasi fotografico pittore ad ammonirci /
che se qualcosa fu non c’è distanza/
tra il millennio e l’istante,
tra chi apparve e non appare,
tra che visse e chi/
non giunse al fuoco del suo cannocchiale. È poco/
e forse è tutto>>.

Segue l’ultima poesia Morgana nella quale Montale confonde sacro e profano, fede e ragione, fantasia e realtà, racconto e storia, presente e passato. Ecco i versi finali:

<Forse ne abbiamo avuto un surrogato./
La fede è un’altra. Così fu detto ma /
non è detto che il detto sia sicuro. /
Forse sarebbe bastata quella della Catastrofe,
ma non per te che uscivi per ritornarvi /
dal grembo degli Dèi>>.


Aspetti estetici di Quaderno di quattro anni.
Quaderno di quattro anni presenta la forma già nota dell’ultimo Montale, ripresenta i temi già noti di Montale sulla vita e sulla morte sul tempo e sulla memoria e sui ricordi, eppure il libro contiene poesie singole che hanno una bellezza poetica incomparabile come Vivere, Ai tuoi piedi, In negativo, Fine di settembre Dormiveglia , I Miraggi, Morgana. Tutte poesie che esprimono un senso inquietante della vita e sulla vita. Montale non è un poeta dell’amore né dell’amicizia né dà certezze, Montale esprime tutto la sua incertezza, i suoi dubbi sulla vita e sulla morte e mostra che tutto è dubbio, che tutto può essere così come forse e già vissuto.


Dunque gli aspetti estetici sono:
1) la varietà degli argomenti;
2) la sottile ironia e il sarcasmo che prevale anche con temi oscuri e dolorosi;
3) il mischiare toni scherzosi a toni dolorosi;
4) la visione della vita che oscilla tra il sublime e l’immondo / con qualche propensione per il secondo.
5) La divisione della vita tra eccelsa e domestica e la propensione a dire che la vera vita è quella dell’eccelso, mentre quaggiù si respira quella pestifera che non vale la pena di viverla

sábado, 8 de enero de 2011

Uno más

UNO MÁS

Se levantó temprano, la mañana llena de expectativas,
preparado para ponerse a escribir. Tomó tostadas, huevos y
café y se fumó unos cigarrillos pensando todo el tiempo en el trabajo
que tenía por delante, el difícil sendero a través del bosque.
El viento empujaba las nubes
por el cielo, agitaba las hojas que quedaban en las ramas
al otro lado de la ventana. Unos días más y desaparecerían,
esas hojas. Ahí había un poema, puede ser;
tendría que pensar en ello. Fue
al escritorio, dudó un buen rato, y entonces tomó
la que vendría a ser la decisión más importante
del día, algo para lo que su imperfecta vida
le había estado preparando. Apartó la carpeta de los poemas -
uno en concreto seguía aún en su cabeza tras
el sueño agitado de la noche anterior (pero, en realidd, ¿qué importa
uno más o menos? ¿Qué más da? ¿Nada va a cambiar,
no?) Tenía el día entero por delante.
Mejor limpiar primero la mesa. Tenía que ocuparse
de unas cuentas cosas, asuntos familiares que no podía
dejar para más tarde. De modo que se puso manos a la obra.
Trabajó duro todo el día -pasando del amor al odio,
a la compasión (muy poca), una sensación conocida,
también de la desesperación a la alegría.
Tuvo estallidos ocasionales de ira, luego
se calmaba, al escribir cartas, diciendo "sí" o "no" o
"depende" -explicando por qué o por qué no a personas
que apenas había visto o que nunca vería.
¿Le importaban? ¿Le importaban una mierda?
Algunas sí. Atendió también unas llamadas
e hizo otras que, a su vez, provocaron
la necesidad de hacer alguna más. Siguió así
hasta que se sintió incapaz de hablar más y prometió
llamar al día siguiente.

Por la tarde, agotado y convencido (erróneamente, por supuesto)
de que había completado una honesta jornada de trabajo,
se puso a hacer inventario y tomó nota del par
de llamadas que tendría que hacer a la mañana siguiente si
quería seguir al tanto de las cosas y si no quería
escribir más cartas, que no quería. Pero ahora,
pensó, estaba harto de todos estos asuntos, aunque
seguía igual, terminando la última carta, una que debería haber
contestado hace semanas. Levantó la vista. Casi era de noche.
El viento se había calmado. Los árboles allí seguían, despjados
de casi todas sus hojas. Pero, por fin, su mesa estaba despejada,
sin contar la carpeta de los poemas que le
costaba mirar. Metió la carpeta en un cajón, apartándola de su vista.
Es un buen sitio, un sitio seguro, y sabrá dónde está cuando
necesite descansar las manos sobre ella. !Mañana!
Hoy hizo todo lo que podía hacer.
Aún le quedaban un par de llamadas,
se le había olvidado que tenía que llamar él y
también unas cuantas notas que debía mandar a causa de las llamadas,
pero no lo iba a hacer ahora, ¿o sí? Había dejado el bosque atrás.
Podía decirse que había cumplido. Había hecho lo que tenía que hacer.
Lo que su conciencia le había pedido que hiciera. Había cumplido
con sus obligaciones y no había molestado a nadie.

Pero en aquel momento, sentado frente a su ordenada mesa,
sintió vagos remordimientos por el poema que seguía en su cabeza
y había intentado escribir por la mañana, y aquel otro
que no conseguía recordar.

Así son las cosas. Poco más se puede decir. ¿Qué se
puede decir de un hombre que prefirió hablar por teléfono
todo el día y escribir cartas estúpidas
mientras sus poemas quedaban desatendidos,
abandonados o,
peor aún, sin empezar? Ese hombre no los merece
y no deberían acudir a él de ninguna de las formas.
Sus poemas, si llega alguno más,
deberían comerlos las ratas.



Raymond Carver